ITINERARIO GERGEI

Per info e prenotazioni info@camminosaturnino.com o +39 327 3389998

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30 OTTOBRE 2017

Inizio Cammino da Cagliari verso Isili

Ore 14.00         Partenza della processione dalla basilica di San Saturnino in Cagliari, direzione Gergei

1° tappa: Gergei

Ore 15.30        Saluto del Sindaco di Gergei, Rossano Zedda, e benedizione della processione a cura del parroco, Don                                     Pasquale Flore
                         “Coro Parrocchiale S. Vito Martire”
                         Gruppo Folk

Ore 16.00       Inizio del pellegrinaggio a piedi in direzione Isili

LA CHIESA DI SAN VITO MARTIRE

A metà giugno, quando le messi incominciano a diventare dorate, si celebra la festa del Patrono del paese: San Vito Martire.
È questa una festa più composta, più intimamente religiosa, meno rumorosa: la processione con cui si porta per le vie del paese il simulacro del Santo, con in mano un grande mazzo di spighe dorate, il solenne panegirico tenuto da un predicatore appositamente chiamato per la festa, la messa cantata. È quasi un rito di ringraziamento al Santo Patrono, spesso invocato durante l’anno dagli agricoltori, quando la siccità inaridisce i campi, quando il maltempo danneggia il raccolto, quando il vento caldo del deserto brucia prematuramente le messi ancora verdi.

Fonte comune.gergei.ca.it

SAN BIAGIO E LA TRADIZIONE DE "SU SUSSINEDDU"

La festività più caratteristica ed importante è però quella di San Biagio, “Santu Brai”, che si celebra il 3 febbraio e che rinnova ogni anno la tradizione de “Su Sessineddu”, unica in Sardegna e, forse, in Italia ed in Europa.
Anche questa festa ha carattere propiziatorio, con essa, infatti, la tradizione popolare chiede al Santo una speciale protezione, contro i malanni dell’inverno, ed in particolare contro i mali della gola.
I protagonisti della festa sono i bambini; essi sono gli “obrieri” e come tali, parte attiva dell’intera organizzazione. “Su capobreri”, nominato quattro anni prima da un suo predecessore, nomina a sua volta il suo successore, che, quattro anni dopo, sarà il responsabile e l’organizzatore della festa.
Questa ha inizio la sera della vigilia intorno al falò che “is obriereddus” hanno preparato, con la legna e le erbe aromatiche raccolte in campagna alcuni giorni prima, nel sagrato della chiesa, quasi come novelli sacerdoti di una cerimonia che affonda le radici nella notte dei tempi.
Al suono dei ritocchi festosi delle campane il falò viene acceso, tutti si fanno attorno e, illuminati dal bagliore delle fiamme, iniziano a suonare, cantare e ballare. I piccoli organizzatori e responsabili della festa distribuiscono ai presenti “is piricchitteddus”accompagnati dal solito vino bianco e da tanta innocente allegria.
In ogni casa intanto si prepara “su sessineddu”, una composizione di frutta e fiori tenuti insieme dalle foglie lunghe e piatte del “sessini” (pianta della famiglia delle cipacee, tipica dei luoghi caldo-umidi e palustri) cui si appendono fichi secchi, pezzetti di lardo e di salsiccia, un rosario fatto con la pasta e cotto al forno con il pane, grappoli di profumatissimi narcisi e “su cordonittu”, un cordoncino di lana ritorta di diversi colori, che in seguito sarà portato al collo per l’intero anno, come scapolare per proteggersi dalle disgrazie e dal mal di gola.
Su sessineddu, tenuto al caratteristico cappio, il giorno della festa viene portato in processione da tutti, bambini ed adulti, e quindi in chiesa dove, alla fine della messa, viene solennemente benedetto dal celebrante.
Sull’origine del rito della benedizione de “su sessineddu” non si hanno precise notizie, se non quelle che lo possono accomunare agli usi e alle tradizioni della religiosità popolare, tipica delle società con economia a carattere prevalente agricolo e pastorale. Le ipotesi che però si possono formulare su questa tradizione, che non ha uguali in altre parti, sono suggestive.
La sorprendente somiglianza de “su sessineddu” con il grappolo di giunchi e di melagrane tenuto in mano da un giovinetto raffigurato nella parete di una millenaria tomba ritrovata a Tebe, nell’alto Egitto, potrebbe far pensare ad un rito propiziatorio che viene da lontane regioni del Medio Oriente e che ha origini che si perdono nel tempo.

Fonte comune.gergei.ca.it

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